Quando la rabbia ti entra dentro, ovvero, un incidente sul fiume.
Di Admin (del 18/02/2007 @ 09:59:36, in Tchadar, linkato 2679 volte)

Era un tunnel oppure stavo guardando attraverso un cannocchiale rovesciato. Una eco lontana, non distinguevo le parole. Tutto era confuso. Pian piano sono tornato a galla. Ma perché quel vento caldo fra i denti e in gola? Qualcuno mi strofinava le mani, ma erano le mie?

Agostino strofinava una mano, si, era la mia sinistra! Fuori campo, Sonam sollecitava: "My friend, wake up. Don't loose your heat!" ed eccolo chinarsi nuovamente, coprirmi la bocca con la sciarpa e soffiare. Respirazione bocca a bocca! Ho mosso una mano per tranquillizzarli e pian piano mi sono reso conto di essere svenuto. Per quanto? Abbastanza per spaventarli. Ne ero fuori, ho chiesto una foto ricordo. Sonam ha perentoriamente detto "Non sono situazioni da fotografare". Ho pensato "non me la sarò fatta addosso?" ma era solo teso e preoccupato, "Sicuro che non vuoi vomitare?" "Buona domanda, anche lui pensa che una frattura porti nausea".

Mi hanno aiutato a sdraiarmi sul mio materassino. Sonam ha iniziato a chiamare Targai e i ragazzi ma ormai dovevano essere aldilà delle roccette. È partito arrampicandosi e dall'alto è riuscito a farsi sentire. semisdraiato ho ripensato all'accaduto. Avevamo appena passato Humlung ed ero riuscito ad agganciare i satelliti e prendere la posizione. Girato un angolo c'era acqua sul ghiaccio, Targai era rimasto ad aspettarci ed indicare i punti dove l'acqua era più bassa. Qualcuno aveva appoggiato delle pietre e creato un passaggio: "Attento, sono ghiacciate". Giusto il tempo di pensare "a me non capita..." e mi sono sentito cadere all'indietro, un dolore lancinante alla caviglia. Giacevo sullo zaino in pochi centimetri d'acqua. Come se fossi uno spettatore vedevo il piede destro ad angolo retto. Ho provato a raddrizzarlo ma non lo comandavo. Poi l'ho visto ruotare da solo e riallinearsi. Mi è sembrato di percepire uno schiocco attutito: era nuovamente al suo posto? Ma già Agostino e Sonam, scalpicciando in acqua, mi avevano sollevato e accomodato a sedere sotto una sporgenza nella roccia. Mentre cercavo di sembrare tranquillo sono svenuto, le parole trasformate in un confuso farfuglìo.

Aspettando Sonnam ho fatto scatare una foto ad Agostino ma intanto dentro montava una rabbia unica. Il giocattolo si era rotto: mi veniva da piangere ma sono troppo orgoglioso.

Sono tornati tutti. Una squadra di portatori im salita ha indicato dove l'acqua era bassa ed erano appena passati senza arrampicare. Gyatzo e Lobzang hanno unito due slitte vuoite e siamo partiti di corsa con Norbu e Targay che mi tenevano le braccia per farmi stare seduto, gambe e piedi all'ìndietro. La rabbia è passata. Ho iniziato a scherzare. Una escursionista ci ha fotografati e mi sono levato il colbacco per salutarla. Dopo la sosta pranzo, Gyatzo ha costruito una slitta gestatoria fissando un bidone allla slitta. Per tre giorni è stata una ordalia di ghiaccio, passi di corsa, scivolate, passaggi in acqua. Dove la superficie era ondulata, dovevo tenere sollevato il piede perché le vibrazioni procuravano indolenzimento.

Ma il fastidio peggiore sono state roccette e sentierini od il salire alle grotte. Mezz'ora per fare 50 metri sui ciottoli! Gyatso sfruttava i minimi passaggi di ghiaccio per avanzare senza farmi scendere e portarmi fin sotto i passaggi di roccia. Qui mi afferravano come un cotechino, guidando i piedi sugli appigli. Passo dopo passo. Appiglio dopo appiglio. Se non riuscivo ad appoggiare lo scarpone, puntavano un bastone sulla minima sporgernza e lì posavo il piede. Mi vergognavo a non riuscirci da solo ma era giocoforza doverlo fare. Su un passaggio facile mi ero appigliato ad un comodo maniglione: Lobzang mi ha preso la mano facendomi mancare la presa e tirandomi di peso. Che vergogna! Al secondo giorno ero sorpreso di riuscire a camminare lentissimamente, ma non c'era altra soluzione in alcuni punti dove il ghiaccio era sparito. Alla sera Lobzang, che è un amtchi, controllava l'assetto delle ossa, muovendo il piede, massaggiandolo e fasciandolo. Ovviamente pensavo al titolo "La figlia dell'aggiustaossa" anche se inappropriato alla situazione: qui c'era solo il conciaossa che mi sfregava il piede, gonfio, dolorante e nero, con il "mustard oil". Rassicurandomi che non era rotto. Assentivo, ma il mio timore era una mini frattura al perone. E così era stato.

E come il duca d'Auge non potevo che esclamare "Anche questa l'ho in quel posto!" [da "Les fleurs bleues"  di Raymond Quenau, 1965 trad. Italo Calvino)]